30/11/23 Blog

Effetto Golem: le credenze negative che bloccano il potenziale altrui

Le aspettative e le convinzioni negative che abbiamo influiscono su di noi ma anche sugli altri. È questo che accade ad esempio quando avviene l’effetto Golem. In special modo in campo educativo, formativo, di sviluppo personale è allora essenziale sapere di che cosa si tratta.

Abbiamo già parlato di come le convinzioni negative si traducano di frequente in profezie che si auto-avverano limitando di molto le nostre possibilità. Quello che potremmo ancora sottovalutare è che la percezione esterna che abbiamo su noi e altri possa influire anche sulla vita di ciascuno di noi.

Ad esempio esiste un fenomeno che potremmo innescare influendo negativamente sull’espressione del potenziale personale di chi ci circonda. Quando questo accade siamo di fronte all’effetto golem.

Foto di Ben White su Unsplash

L’effetto golem e quella percezione negativa che cambia tutto

Partiamo dal nome di questo fenomeno che è già di gran lunga esplicativo. L’effetto golem infatti deve il suo nome al medesimo gigante immaginario e di pura argilla.

Una creatura questa che secondo le leggende era stata animata dal suo creatore per proteggere la città di Praga. Nel corso del tempo però il golem si era via via corrotto diventando malvagio e ingestibile. A quel punto l’unica soluzione possibile era stata optare per la sua distruzione.

La leggenda spiega seppure sul piano del fantastico e dell’immaginifico dunque quali sono le conseguenze negative dell’effetto golem. Quando questo avviene difatti scopriamo come questo fenomeno porti alla distruzione metaforica e non delle opportunità di sviluppo e crescita delle persone.

I giudizi, le aspettative negative, la considerazione limitata che abbiamo su una persona distruggono le opzioni e l’espressione dell’altro. Ciò è specialmente vero e nefasto quando siamo nel campo educativo e formativo o in quello professionale.

L’esempio lampante è il caso dell’alunno considerato in modo negativo, guardato con pregiudizio e con biasimo o scherno, arriva poi a confermare quelle stesse aspettative. Magari fallendo nelle diverse materie, continuando a ottenere scarsi risultati o addirittura smettendo persino di impegnarsi e di provare a migliorare.

Aspettative negative, considerazioni volte alla sola critica finiranno difatti per portare a comportamenti peggiori. A questi poi si aggiungono le prestazioni nettamente inferiori rispetto a un contesto dove non vige l’effetto golem.

Un aspetto decisivo di questo fenomeno è inoltre la sua connessione con la facilità a etichettare le persone. Nello specifico ogni qual volta tendiamo per esempio ad additare un altro come “senza speranze”, “fallito” o “ridicolo” in modo oltretutto continuativo stiamo favorendo l’effetto golem. Così come ogni volta che sminuiamo la persona, i suoi risultati, i suoi tentativi di fare meglio o di raggiungere un obiettivo per lei importante.

Gli effetti nefasti delle nostre aspettative sugli altri

L’effetto golem dunque si posiziona proprio all’opposto dell’effetto pigmalione. Nel pigmalione la persona trova un sostenitore, ha su di sé una percezione positiva che lo stimola e che lo aiuta a fare sempre meglio.

La persona sotto l’ala del pigmalione nel tempo accresce la sicurezza nelle sue capacità, nel suo valore e nei suoi meriti. Sicurezza questa che sembra quasi spianare la strada verso buoni risultati e mete soddisfacenti per la persona.

Nell’effetto golem invece la persona, adulta o bambina, introietta a mano a mano lo sguardo negativo dei detrattori e di chi la etichetta come “senza speranze”. Inizia a convincersi che non ce la potrà mai fare, che non vale quanto gli altri, che non merita il successo o persino l’amore delle persone.

Nel cortocircuito che si crea finisce per aiutare la profezia negativa: l’unica percezione o la più forte che ha finito per sperimentare nella sua vita. Come possiamo immaginare le conseguenze negative dell’effetto golem sono ampissime e creano un sistema a valanga.

Questo perché seppur concentrate su un ambito, educativo o professionale che sia, le aspettative finiranno per influire sulla percezione stessa che ha l’individuo. Quando avviene l’effetto Golem, si incrinano l’autostima e l’autoefficacia della persona. Persona che finirà per limitare e finanche compromettere i diversi piani della sua esistenza: professionale e privato insieme.

Ti è piaciuto l’articolo sull’effetto golem? Leggi anche questo.

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12/09/23 Blog

Ansia: riconoscere i trigger che la attivano e rinforzano

Se soffriamo d’ansia potremmo avere già notato che ci sono alcuni eventi, situazioni, ma anche comportamenti o strategie che possono esacerbare il problema. Se invece stiamo iniziando a cercare informazioni in merito potrebbe esserci utile conoscere alcuni schemi che perpetuati possono incrementare il nostro malessere.

Nel corso degli anni potremmo aver già notato una particolarità legata all’ansia. Ci sono infatti situazioni, eventi e anche azioni che peggiorano il nostro malessere. Nel gergo tecnico della psicologia e della psicoterapia questi fenomeni prendono il nome di trigger.

Con questo termine facciamo riferimento a uno stimolo, a un qualcosa che ci fa “scattare”. Riferito all’ansia quindi il trigger è quel fattore che ci porta a percepire con maggiore intensità questo stato che ci fa stare male.

Preoccupazione immotivata, angoscia, persino panico sono tutte condizioni che in qualche modo si attivano agendo ad ondate. Riconoscere questi stimoli allora è il modo migliore per avere consapevolezza gestendo, e non solo subendo, la problematica. Un modo, in pratica, per coltivare e allenare il più possibile il nostro benessere psicofisico.

I trigger dell’ansia: quali potresti star sperimentando?

Esistono diversi trigger che possono portarci ad avvertire l’ansia come parte preponderante della nostra quotidianità. In particolare potremmo suddividerli in 4 categorie. È così che abbiamo gli stimoli connessi al:

  • futuro con quella che possiamo denominare anche ansia anticipatoria;
  • presente che si lega a come ci approcciamo alla vita quotidiana;
  • passato se siamo più concentrati su quello che è già avvenuto rispetto al fluire del tempo;
  • ragionamento mentale quando siamo completamente immersi nei nostri pensieri che diventano quasi delle ossessioni.

Analizzando nel dettaglio questi quattro assi, possiamo scoprire alcune informazioni utili che possono aiutarci nello scoprire cosa rinforza questo malessere. Ad esempio quando siamo troppo proiettati nel futuro potremmo vivere con ansia se dobbiamo fare un programma o un cambiamento per i periodi che verranno.

Allo stesso modo potremmo sentirci peggio quando ci viene chiesto di pensare a cosa faremo da grandi o della nostra vita in generale. Quando lo stimolo dell’ansia è legato al presente invece potremmo vedere peggiorare i sintomi ogni volta che ci confrontiamo con gli altri. O quando siamo chiamati a prendere parte a un evento sociale o fuori dal nostro ambiente abituale.

Al contrario quando l’ansia si collega al passato, a farci stare male è il continuo rimuginare sugli errori commessi (veri o presunti che siano). Proseguendo anche una semplice non risposta da parte degli amici o nervosismo dell’altro nei nostri confronti farà scattare in noi mille retropensieri.

Il messaggio latente che funge da trigger infatti sarà sempre l’attivarsi della domanda: avrò commesso qualcosa di male? Sarà stata colpa mia? Questo anche quando in realtà non c’è nulla di oggettivo a poterci spingere verso questi pensieri. O anche quando la non risposta così come l’assenza o il comportamento dell’altra persona dipenderà solamente da imprevisti e altri fattori che non ci riguardano.

dal web

Meno testa, più corpo e presenza contro l’ansia

Un altro trigger potente per quanto riguarda l’ansia lo troviamo a partire da una tendenza che è comune a molti di noi. Nel quotidiano difatti troppo di frequente tendiamo a passare gran parte del nostro tempo alle prese con ragionamenti continui.

A volte è un mentalizzare ogni aspetto della realtà che ci allontana dal sentire in profondità. È questo processo che ci porta a concentrarci su dettagli insignificanti torturandoci di ragionamenti che diventano quasi delle ossessioni.

Anche il perfezionismo estremo che ci colpisce sia nel lavoro sia nella vita privata non ci aiuta ad allentare la presa. Esso nutre invece la nostra ansia. È questo cortocircuito di fattori che ci porta a sentirci stremati dai pensieri e dalle preoccupazioni. Sopraffatti dallo stress e dall’ansia, in continua lotta contro lo scorrere frenetico delle giornate. Per invertire la rotta limitando l’ansia potrebbe perciò esserci utile tornare al corpo, al concreto, smettendo di vivere unicamente nel pensiero logico. In questo ci può aiutare sia la mindfulness sia la psicoterapia cognitivo-comportamentale

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29/08/23 Blog

Lavoro e stress da rientro: ripartire con serenità dopo una pausa

Dopo una pausa, il rientro a lavoro può causarci stress e ansia. Possiamo inoltre doverci confrontare con demotivazione, preoccupazione e tristezza. Come possiamo riprendere in mano la nostra vita con più leggerezza? Vediamo alcuni suggerimenti utili.

Passiamo moltissimo tempo a desiderare i momenti di vacanza. Quando arrivano quindi siamo di norma felici e per diversi giorni mettiamo ogni preoccupazione in stand-by.

Quando però si palesa all’orizzonte il rientro al lavoro possiamo sperimentare emozioni contrastanti. Non a caso di frequente viviamo lo stress da rientro.

Non ha importanza che sia stato solo un weekend lungo, una vacanza di settimane o solo qualche giorno sparso in cui siamo rimasti a casa a riposare. La lunghezza del nostro periodo vacante, di riposo e di stacco, non cambia molto ai fini di come ci sentiamo.

È così che al pensiero di riprendere i nostri impegni abituali possiamo quindi sperimentare:

  • ansia,
  • stress,
  • preoccupazione forte,
  • tristezza e angoscia,
  • demotivazione,
  • frustrazione.

Spunti per contrastare lo stress da rientro a lavoro

Vivere una situazione di questo genere ci porta di conseguenza a stare male. Un malessere psicosomatico generale che ci priva ulteriormente di energia e di positività verso la nostra quotidianità. Ecco perché può esserci di grande aiuto mettere in pratica alcuni suggerimenti contro lo stress da rientro a lavoro.

Il primo consiglio a cui possiamo guardare è di darci e prendere tempo. Un segreto che contrasta l’ansia e l’angoscia che possiamo sperimentare è difatti organizzarci e prepararci con calma. Se possiamo allora fissiamo il rientro a casa un giorno prima rispetto al rientro effettivo in ufficio o al lavoro.

Utilizziamo questo tempo per rilassarci e riprendere confidenza con la nostra quotidianità consueta senza dover correre subito ai mille impegni. La sera prima della ripresa poi organizziamo una breve lista delle cose da fare e che hanno la priorità rispetto a tutto il resto.

Impegniamoci a mantenere la nostra lista il più snella possibile dedicandoci davvero solamente alle attività essenziali e indispensabili. Tra queste ultime diamo la priorità a task leggeri e meno impegnativi creando dunque un rientro al lavoro soft per quanto possibile.

Non partiamo subito a mille incastrando milioni di attività, incontri, eventi. Ci sarà poi tempo per recuperare nel corso delle settimane. Riprendiamo la nostra vita quotidiana seguendo un ritmo lento e mindful. Cerchiamo di essere il più possibile presenti a ciò che dobbiamo fare.

A casa e in ufficio dedichiamo alcuni momenti all’organizzazione e al riordino degli ambienti in cui trascorreremo la maggior parte del nostro tempo. Allo stesso modo facciamo ordine scrivendo in agenda o anche solo su un block notes gli impegni principali che abbiamo nell’arco della settimana.

Lentezza, presenza e gratitudine: anche il rientro è mindful

Suddividiamo ogni attività in azioni più piccole che ci appaiano maggiormente gestibili. Mettendole in sequenza e smarcandole una alla volta avanzeremo in modo significativo senza sentirci sopraffatti da tutte le cose da fare.

Entrambi questi accorgimenti ci aiutano sia a liberare la mente dalle ansie e dal dover ricordare tutto a memoria sia a fare chiarezza e ordine. Un ordine che è sia fisico sia mentale e che riflette i suoi benefici su diversi livelli.

Questo perché ci aiuta ad abbassare l’ansia, lo stress e le preoccupazioni. In pratica attraverso questi semplici passaggi usciamo anche da quel senso soffocante di disordine e di sopraffazione, di ineluttabilità e impotenza.

Approcciamoci a ogni cosa rimanendo ben ancorati al qui e ora. Concentriamoci solo su quello che stiamo vivendo in quel momento portando intenzione e consapevolezza nella nostra giornata. Dimentichiamoci del multitasking.

Da ultimo ma non meno importante pratichiamo la gratitudine. Ogni giorno ricerchiamo almeno un motivo per cui possiamo dirci grati e gioiosi di quanto vissuto. Concludendo ritagliamoci un momento in cui facciamo qualcosa che ci piace, qualcosa solo per noi.

Basta anche un’azione minuscola di self care o che ci dona piacere. L’importante è che coltiviamo la felicità e il benessere nella vita di tutti i giorni senza aspettare esclusivamente le tanto agognate pause per vivere sereni.

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28/07/23 Blog

FOMO: quando vogliamo essere online per non sentirci esclusi

I social media hanno trasformato le nostre abitudini e routine. Ci hanno portato ormai a voler essere sempre online, connessi, aggiornati. Questo fenomeno ha dato vita alla sindrome FOMO, Fear of Missing Out. Una possibilità questa che fa leva su una delle paure ataviche che ci accompagna in quanto esseri umani: l’essere esclusi, il non essere parte del gruppo. 

Fin dalle prime luci del mattino e fino a notte inoltrata c’è un’azione che accompagna moltissimi di noi ogni giorno dell’anno. Siamo infatti tutti alle prese con il controllo quasi ossessivo di smartphone e social media.

Questa abitudine è diventata così pervasiva e diffusa da poter in un certo senso essere annoverata tra le dipendenze. Motivo per cui da tempo abbiamo iniziato a parlare anche di sindrome FOMO, acronimo che sta per Fear of Missing Out.

Fear of Missing Out e il non poter staccare mai

Che cos’è la FOMO? Soprattutto come si manifesta nelle nostre vite? Nella vita di tutti i giorni quante volte sblocchiamo il cellulare per monitorare le notifiche di messaggi, email, social media? Quante volte avvertiamo l’ansia di dover essere online o di dover fare il login perché è passato troppo tempo dal nostro ultimo accesso?

Ecco in questi e in molti altri casi potremmo stare sperimentando la sindrome Fomo. Come dice l’acronimo stesso, Fear of Missing Out è a livello letterale “la paura di essere tagliati fuori”.

È come se pensassimo che non potendo accedere ai social media e in generale al mondo online noi ci stessimo perdendo qualcosa. Quello stesso qualcosa che poi si ripercuoterà anche sulle dinamiche relazionali e sociali che viviamo nella realtà offline.

In breve dunque arriviamo a pensare di poter essere esclusi dal nostro gruppo sociale perché non più aggiornati e partecipanti attivi nel contesto digitale. Quando viviamo la FOMO ci sentiamo allora costretti a essere perennemente connessi e se questo non può avvenire siamo terrorizzati all’idea di venire tagliati fuori.

Conseguenza quasi diretta questa del pensiero che online le vite degli altri stanno andando avanti senza di noi e senza che noi ne siamo informati. Già da queste brevissime considerazioni capiamo quanto la sindrome FOMO possa essere dannosa.

Ciò essenzialmente perché essa attiva in noi una paura e un bisogno che sono da sempre centrali in noi esseri umani. Il riferimento è al timore di essere esclusi dal gruppo sociale consueto e al bisogno di appartenervi.

Digital detox e non solo: ritrovarci offline per ritrovare serenità

Da questo punto di vista può esserci inoltre di aiuto conoscere alcuni dei sintomi che potremmo sperimentare quando avvertiamo la FOMO. Tra questi possiamo ad esempio segnalare:

  • ansia e nervosismo;
  • frustrazione e noia verso il mondo offline;
  • disturbi della concentrazione;
  • depressione;
  • stress ed esaurimento nervoso;
  • disinteresse verso le relazioni sociali e la quotidianità offline.

Cosa possiamo fare allora se ci accorgiamo di star vivendo la Fear of Missing Out? Un primo consiglio è quello di iniziare da subito a limitare il tempo trascorso online, in particolare sui social media. Questo perché le piattaforme di questo genere tra le altre cose iper stimolano e sovraccaricano la nostra mente.

Può perciò essere utile praticare anche un periodo di vero e proprio digital detox in forma più o meno strutturata. Oltre a questo è poi fondamentale dedicarci del tempo di qualità a contatto con noi stessi.

Impegniamoci a riscoprire il piacere di fare e vivere nella realtà offline. Riprendiamo in mano i nostri hobby e/o rimettiamoci in contatto con le persone a noi care. Se possiamo stacchiamo dal mondo digitale e immergiamoci nella natura. Non serve andare lontano, basta anche un parco vicino a casa o un giro in una zona che ci piace o ancora da scoprire.

Vivi un periodo di difficoltà e ti senti spesso in ansia o senza energie? Non rimandare, chiedi aiuto a una psicoterapeuta comportamentale. Riappropriati della tua serenità, coltiva il tuo benessere psicofisico ed emotivo.

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28/06/23 Blog

People pleasing: la gabbia di voler piacere a tutti i costi

Essere apprezzati dalle persone è un desiderio che possiamo sperimentare in molteplici contesti. A volte questo aspetto diventa così centrale nelle nostre vite da trasformarsi quasi in un’ossessione, in una gabbia che ci imprigiona. È questo che avviene quando viviamo il fenomeno del people pleasing.

A tutti noi fa piacere ricevere complimenti, apprezzamenti, riconoscimenti da parte delle persone che sono vicine a noi. Di frequente dà soddisfazione poter vivere sapendo di piacere a familiari, amici, colleghi di lavoro, partner.

Ma cosa succede se questo desiderio diventa il nostro unico obiettivo? In questo caso rischiamo di vivere per compiacere gli altri e finiamo per sperimentare il people pleasing. Questo fenomeno può portarci velocemente a snaturare la nostra identità e a nutrire uno stato di malessere psicofisico.

Che cos’è il people pleasing?

Un passo essenziale nella quotidianità è sempre legato al diventare consapevoli dei processi e delle dinamiche che alimentiamo. Ecco perché il punto iniziale da cui partire è proprio capire che cos’è il people pleasing.

Nella vita esso avviene quando modifichiamo o reprimiamo la nostra natura, i nostri bisogni allo scopo di piacere agli altri. Da questo punto di vista il people pleasing può assumere le forme più svariate. Alla sua base però troviamo la volontà di accontentare in ogni modo l’altra persona e di ottenere in cambio:

  • devozione;
  • apprezzamento;
  • riconoscenza;
  • stima;
  • benefici.

Tra le cause che ci spingono a compiacere in modo estremo gli altri possiamo annoverare innanzitutto la paura del giudizio abbinata a una bassa autostima. In aggiunta possiamo agire come people pleaser nella speranza di essere considerati parte del gruppo quindi per un bisogno di appartenenza.

Allo stesso tempo il people pleasing può anche essere un sintomo di altri malesseri quali il disturbo d’ansia sociale, la depressione o la dipendenza affettiva. Motivo per cui è essenziale che impariamo a cogliere quanto prima i segnali che possono indicare la presenza di questo schema.

Riconoscere i campanelli di allarme del people pleasing è il primo passo per attivarsi e cambiare così da ricercare il nostro benessere mentale ed emotivo.

Quando per piacere agli altri rinneghiamo noi stessi…

Innanzitutto se siamo people pleaser possiamo notare la tendenza voler andare d’accordo con tutti e a ogni costo. Ciò si traduce molto spesso nel non volerci esporre, nell’assecondare le opinioni di chi abbiamo davanti anche quando questo vuol dire andare contro le nostre idee o i nostri valori.

Possiamo desiderare così tanto l’apprezzamento e la considerazione altrui da comportarci come dei veri e propri camaleonti. Come i famosi animali possiamo quindi cambiare atteggiamento, interessi, opinioni in base al contesto e/o alla persona che desideriamo “conquistare”.

Nel tempo questa pratica continua che ci porta a snaturarci rischia però di farci perdere la nostra identità a tal punto da non sapere più:

  • chi siamo davvero;
  • cosa ci piace e cosa no;
  • cosa desideriamo;
  • quali sono i nostri valori fondanti;
  • dove sono i nostri confini.

Proseguendo un altro segnale che non dobbiamo sottovalutare è la tendenza a scusarci continuamente e a mettere le esigenze degli altri sempre davanti alle nostre. I nostri bisogni così come quello che proviamo passano ogni volta in secondo piano finendo per essere di frequente ignorati.

È così che finiamo per procrastinare tutto ciò che ci riguarda: attività piacevoli e hobby, la cura di noi stessi, persino impegni o visite per la nostra salute. Sul fronte opposto poi possiamo sentirci quasi in obbligo a dover dire sì a qualsiasi cosa.

Vengono dunque ricomprese persino le attività, le incombenze a cui vorremmo dire no o che ci fanno stare male. Di conseguenza ci troviamo poi in difficoltà nel gestire sia il nostro tempo sia le nostre energie.

Difficoltà che si somma al non riuscire a stabilire e mantenere dei confini sani con chi ci circonda. Tutto questo ci porta infine a vivere le situazioni con estrema frustrazione e risentimento portandoci in certi casi a mettere in atto comportamenti passivo-aggressivi.

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17/06/23 Blog

Dissociazione cognitiva: cosa succede quando la nostra mente salta

L’ultima tragedia è avvenuta di recente qui a Roma: a perdere la vita una bimba di undici mesi dimenticata in auto per sette lunghe ore. In questo caso e in molti altri, quello che potrebbe essere alla base di un evento così terribile è un fenomeno conosciuto come dissociazione cognitiva. Vediamo insieme di cosa si tratta e cosa è importante sapere al riguardo.

Quella di cui siamo venuti a conoscenza negli ultimi giorni è la notizia che rende concreti uno dei più grandi timori di chi è genitore e non solo. La tragedia della bimba di undici mesi morta in auto qui nella città di Roma non può infatti lasciare indifferenti nessuno di noi.

Al contrario, spinge una volta di più a interrogarci su come possano accadere questi fatti terribili e soprattutto su come poterli prevenire. Nella ricerca spasmodica di informazioni ciò che ci guida spesso è un rintracciare un significato, una causa nella speranza di poter scongiurare questi pericoli.

Come ben spiegato in questa intervista alla psicoterapeuta Michela Pensavalli, alla base di questi fatti tragici potremmo trovare uno stato dissociativo transitorio indotto da overthinking. Che cosa si intende con questa espressione? Che cosa dobbiamo sapere in merito?

Che cos’è la dissociazione cognitiva? Cosa comporta?

Quando parliamo di dissociazione cognitiva stiamo entrando nell’ambito dei disturbi dissociativi. Nello specifico essa è connessa a diversi aspetti che possono influire sia sulla nostra identità sia sul nostro comportamento.

Nella vita quotidiana noi viviamo un processo fluido composto di azioni, emozioni, comportamenti, preferenze. È l’insieme di questi elementi che ci permette di agire, interagire e relazionarci in modo coerente e integrato.

A ben vedere è come se ci fosse un filo rosso che mantiene tutti i nostri pezzi insieme. Quando sperimentiamo la dissociazione cognitiva è come se questo filo venisse spezzato e i vari tasselli che ci compongono non comunicassero più.

Un’altra metafora che ci aiuta a comprendere la portata di questo fenomeno è quella del circuito elettrico. Da questa prospettiva possiamo vedere la nostra mente come se fosse percorsa dalla corrente elettrica.

Se interviene la dissociazione cognitiva possiamo quindi sperimentare un’interruzione del flusso come se fosse saltato il nostro personalissimo interruttore. Sotto questo profilo potremmo dunque dover fare i conti con sintomi che nuocciono sia sul fronte dell’identità sia su quello delle funzioni cognitive.

Il cortocircuito provocato da stress, overthinking, iperallerta

In particolare quando viviamo uno stato dissociativo possiamo trovarci impossibilitati ad accedere e a elaborare determinate informazioni. Possiamo allora sperimentare vuoti di memoria e black out temporanei.

Possiamo inoltre credere di aver già processato determinati dati e/o di aver compiuto le azioni che ci eravamo prefissati. La dissociazione cognitiva in alcuni casi nasce anche come protezione, come difesa e/o risposta a un trauma.

Guardando altre situazioni e contesti invece possiamo poi accorgerci come questo disturbo possa essere aggravato dalla concomitanza di altri fattori. È questo ad esempio il caso che avviene quando siamo sottoposti a:

Foto di Bernard su Unsplash
  • stress prolungato;
  • stati depressivi o ansiosi;
  • sindrome da burnout;
  • overthinking;
  • dinamiche di ipercontrollo e iperallerta.

Al giorno d’oggi rischiamo sempre più di frequente di doverci confrontare con un malessere mentale ed emotivo diffuso che compromette la quotidianità. Ciò è dovuto almeno in parte anche a causa di:

  • routine iper stressanti,
  • un mancato equilibrio vita-lavoro,
  • un carico mentale troppo pesante;
  • pressioni e aspettative al di sopra della nostra portata;
  • una retorica fondata sul successo a ogni costo e sulla performance.

Un indicatore a cui possiamo perciò sempre prestare attenzione a prescindere dall’andamento della nostra vita è allora proprio l’attivarsi del famoso pilota automatico. Più agiamo seguendo questa linea e più ci potremmo trovare in presenza di uno stato di disequilibrio.

Se ci accorgiamo di star vivendo un periodo di difficoltà può essere il momento di chiedere aiuto a un professionista. Un percorso mirato con una psicoterapeuta di fiducia può infatti aiutarci a riappropriarci della nostra serenità, a ritrovare e coltivare il nostro benessere psicofisico ed emotivo.

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02/06/23 Blog

Riposo e ozio: due alleati per il nostro benessere psicofisico

Viviamo ritmi e routine sfiancati. Al giorno d’oggi di frequente siamo portati a riempire la nostra quotidianità di incombenze, attività, eventi. Sembra infatti che il nuovo status symbol sia proprio l’essere perennemente impegnati e di corsa. A ben vedere per rafforzare il nostro benessere psicofisico è però essenziale che ci possiamo dedicare al riposo e all’ozio. Vediamo insieme il perché e i benefici.

La nuova normalità all’interno della nostra società sembra essere quella di vivere giornate interminabili. Giornate costellate di impegni, incontri, eventi, il lavoro che ci assorbe del tutto. Sembra difatti che sia un vanto poter mostrare quanto siamo stressati e impegnati, alle prese con mille incastri e corse.

Tutto questo correre e lo stress che ne deriva è però nemico del nostro benessere psicofisico. Questa situazione a lungo andare ci può danneggiare in profondità portandoci in alcuni casi a sperimentare persino l’esaurimento e il burn out.

Per compensare questa dinamica abbiamo invece bisogno di dedicare del tempo al riposo e all’ozio. Due concetti antichi che possono mostrare benefici importanti anche ai giorni nostri.

Rallentare per riscoprire il gusto mindful della quotidianità.

L’ozio e il riposo sono due elementi a cui possiamo fare riferimento ogni volta che ne sentiamo la necessità. Della loro importanza ne erano a conoscenza già i popoli antichi che hanno esaltato a lungo la necessità di dedicarsi al dolce far niente.

Nel corso del tempo abbiamo via via sempre più accantonato questo bisogno arrivando a etichettarlo come un sintomo della pigrizia. Il problema è che agendo in questo modo rischiamo di sovraccaricare sia la mente sia il fisico.

Noi esseri umani abbiamo infatti un bisogno profondo di riposo. Solo avendo la possibilità di prenderci cura di noi e di rigenerarci anche attraverso la noia, i tempi vuoti, possiamo poi coltivare il nostro benessere.

In questo senso fare nostro un approccio mindful ci aiuta a riscoprire la quotidianità abbracciando ritmi più rilassati. Oziare dopotutto ci permette di ottenere benefici essenziali per la nostra vita. Sono questi elementi fondamentali per poter riassaporare il qui e ora: principio strategico nella mindfulness e nel ritrovare un equilibrio psicofisico benefico.

Perché abbiamo bisogno di riposare e oziare.

Il riposo e l’ozio assicurano vantaggi sotto molteplici punti di vista. Innanzitutto un elemento centrale che dobbiamo ricordare è connesso alla salute e alla gestione dello stress. Una vita più rilassata con ritmi lenti, pause e momenti liberi da attività difatti ci permette di rallentare e di rigenerare le nostre energie psicofisiche.

Grazie all’ozio e al riposo perciò abbiamo l’occasione di rilassarci in profondità e di ridurre la pressione e le problematiche collegate allo stress. Ritmi più rilassati si riflettono su ogni aspetto della quotidianità riducendo ansia, nervosismo, pensieri negativi.

In breve allora possiamo vivere godendoci di più gli eventi e gli incontri che riempiono la nostra vita dandole anche un significato diverso. Non più assorbiti del tutto dal tran tran quotidiano abbiamo invece l’opportunità di:

  • ascoltarci più in profondità;
  • riscoprire i nostri bisogni, desideri e aspirazione;
  • goderci appieno ciò che viviamo nella giornata;
  • creare una vita più vicina al nostro ideale;
  • ridurre aspettative, ansia e preoccupazioni;
  • sperimentare più idee e creatività;
  • coltivare relazioni più genuine;
  • gestire meglio le nostre priorità;
  • concentrarci su attività che amiamo davvero;
  • dedicare tempo di qualità a noi stessi e a coloro che amiamo.

Dal punto di vista fisico inoltre l’ozio e il riposo ci aiutano a regolarizzare le funzioni ormonali, a dormire meglio e a essere più sereni. A tutto questo si aggiungono poi benefici che implicitamente ci aiutano anche a livello di produttività.

Abbiamo infatti un incremento del livello di concentrazione e attenzione oltre a essere più obiettivi. Riposare migliora infine il nostro tono dell’umore e la nostra lucidità mentale.

Concludendo prevedere del tempo da dedicare al riposo e all’ozio innesca un circolo virtuoso che ci fa stare bene sotto ogni prospettiva. Motivo per cui queste due attività sono fattori imprescindibili, a cui non rinunciare per il nostro benessere psicofisico.

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01/05/23 Blog

7 pilastri della Mindfulness per cambiare prospettiva e approccio

La mindfulness non è un semplice modo per meditare e rasserenarsi. Al contrario è una pratica viva che ci aiuta a cambiare il nostro approccio al presente e alla quotidianità. Perché questo avvenga e ci sia di aiuto nella vita di tutti i giorni ci può allora essere utile conoscere i 7 pilastri della mindfulness.

Tra i primi blocchi che possiamo sperimentare quando ci avviciniamo alla mindfulness possiamo trovare l’idea che questa sia solamente una disciplina meditativa. Come abbiamo visto anche in questo articolo sono molti i pregiudizi che possono allontanarci da questa pratica.

Un aiuto fondamentale arriva invece dal fare conoscenza di questa possibilità in modo esperienziale e ricordando uno degli assunti di Jon Jabat-Zinn. Quest’ultimo ha ribadito più volte un aspetto centrale della mindfulness: la sua dimensione viva. In questo senso possiamo iniziare e allenarci sperimentando i 7 pilastri della mindfulness.

7 pilastri della mindfulness da ricordare e sperimentare

Una delle più grandi innovazioni della mindfulness si collega proprio alla necessità di vivere direttamente e in prima persona questo approccio. Non basta e non occorre acquisire una serie stringente di norme.

Ciò che serve davvero è mettere in pratica una prospettiva differente in cui possiamo sperimentare a livello concreto una modalità di senso nuova. Ecco perché diventa essenziale conoscere i 7 pilastri della mindfulness.

7 fondamenti che sono anche modalità che ci permettono di portare attenzione e consapevolezza al qui e ora. In breve i 7 pilastri della mindfulness sono:

  1. l’assenza di giudizio;
  2. la pazienza;
  3. la mente del principiante;
  4. la fiducia;
  5. l’andare oltre la performance;
  6. l’accettazione;
  7. il lasciar andare.

Guardando ai 7 pilastri della mindfulness capiamo subito come questi siano più delle indicazioni di approccio più che delle regole da seguire. Non esiste quindi un processo preimpostato.

Si crea invece una dinamica fluida che necessita di un allenamento costante. A questo poi si aggiungono sia la nostra apertura sia il desiderio di vedere le cose in maniera diversa.

Ripensando la quotidianità e la pratica mindful in questo modo vengono dunque meno anche le pressioni, le aspettative irrealistiche, l’ansia da prestazione che potremmo provare. A quel punto difatti non si tratti di diventare dei maestri di meditazione, ma di un approccio da vivere e con cui ci alleniamo giorno dopo giorno.

Viviamo e mettiamo in pratica la mindfulness

Vediamo perciò da vicino i 7 pilastri della mindfulness a cui possiamo richiamarci. Il primo è il non giudizio, ovvero la necessità di smettere di aggrapparci costantemente alla critica negativa. Un’attività questa che drena le nostre energie e ci allontana sia dagli altri che da noi stessi.

Associato a questo troviamo la volontà di coltivare la pazienza nella piena consapevolezza che ognuno ha il suo percorso e ogni cosa avviene a suo tempo. La pazienza si lega strettamente anche con altri due pilastri, cioè l’accettazione e la fiducia.

L’accettazione è il principio per cui ci alleniamo ad accogliere la realtà delle cose esattamente com’è in questo momento, nel qui e ora. Nella pratica vuol dire che ci alleniamo ad accettare ciò che viviamo senza giudizio. Smettiamo di fissarci sul fatto che vorremmo che la quotidianità fosse diversa e operiamo vivendo appieno il nostro presente qualunque esso sia.

Il pilastro della fiducia ci sostiene invece permettendoci di vivere le esperienze e la nostra dimensione personale con più serenità e positività. Attraverso la fiducia acquisiamo la consapevolezza che noi valiamo. Avanziamo inoltre sapendo che ci sarà sempre del bene ad attenderci e in quello che viviamo. Per certi versi quindi è un allenamento alla speranza.

Nessun cambio di prospettiva poi può essere slegato dalla mente del principiante che si nutre di gioia e curiosità. Da ultimo infine quando ci rifacciamo ai 7 pilastri della mindfulness dobbiamo allenarci a lasciar andare. Pilastro che si connette anche al non vivere tutto come una competizione o come una performance e che ci chiede di fluire con la realtà.

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01/05/23 Blog

Fresh start effect: i nuovi inizi come carburante per la motivazione

I nuovi inizi ci regalano da sempre una rinnovata energia, speranza e voglia di metterci in gioco. Quando questo avviene stiamo sperimentando su di noi l’onda potente di un fenomeno noto come fresh start effect. Che cos’è e soprattutto come ci può essere di aiuto? Scopriamolo insieme.

Cos’hanno in comune capodanno, il primo giorno di un nuovo anno scolastico o di un nuovo lavoro, l’arrivo della bella stagione, il nostro compleanno? Sono tutte date che associamo alla possibilità di un cambiamento, a un nuovo inizio.

Nuovo inizio reale o metaforico, non fa poi molta differenza. Il punto essenziale è che ci immaginiamo di dare il via a un nuovo capitolo della nostra vita, a una nuova quotidianità. Di riflesso crediamo e immaginiamo di essere dei nuovi noi.

Tutto questo è merito di un fenomeno che in psicologia prende il nome di fresh start effect. Fenomeno che ci ricorda quanto certi giorni e i nuovi inizi possano essere preziosi e potenti per rafforzare la nostra motivazione interna.

Che cosa vuol dire Fresh start effect?

A ognuno di noi nel corso della vita può essere capitato di fare i conti con i buoni propositi. Di frequente ne parliamo pensando a quanta strada abbiamo o non abbiamo fatto, a quanti risultati abbiamo raggiunto a meno in riferimento a quella lista famigerata.

Questo ci porta a soffermarci proprio sul fresh start effect. Con questa etichetta facciamo riferimento a una possibilità che può sostenerci anche quando siamo alla ricerca di un incremento di motivazione.

Il fresh start effect infatti equivale a quel boost di energia, positività e voglia di fare che possiamo riscontrare in concomitanza a un nostro nuovo inizio. È così che possiamo sperimentare dei benefici interessanti in particolare quando ci avviciniamo a date significative come:

  • capodanno;
  • l’inizio della primavera e/o dell’estate;
  • il primo di settembre;
  • il nostro compleanno.

Anche gli anniversari possono rivestire un ruolo speciale all’interno della nostra vita e regalarci un nuova fiammata di motivazione. Tra le date importanti possiamo allora guardare ad anni ritenuti importanti come la maggiore età.

O festeggiare cifre particolari come i trent’anni, i quaranta, i cinquanta e gli ottanta. Allo stesso modo possiamo collegare il fresh start effect anche al raggiungimento di traguardi che riteniamo significativi a livello personale e professionale come:

  • laurea;
  • matrimonio e/o fidanzamento;
  • nascita dei figli;
  • cambio di lavoro;
  • pensionamento.

Come un nuovo inizio fa bene a noi e alla nostra motivazione.

Quando avviene il fresh start effect ciò che otteniamo è dunque proprio la possibilità di avere più motivazione, energia e determinazione nel perseguire i nostri obiettivi o desideri.

Ciò spiega perché può essere utile nella vita di tutti i giorni agganciarci a questo fenomeno. Grazie a questa energia difatti abbiamo l’occasione di:

  • aumentare le nostre probabilità di successo;
  • sentirci più efficaci;
  • avvicinarci al cambiamento che desideriamo.

Nella pratica perciò il fresh start effect lavora per noi e ci permette di avere più forza nel perseguire i nostri interessi e obiettivi. Se ci sentiamo persi, senza speranze o demotivati allora ricollegarci a nuovi inizi, date significative e/o create appositamente ci può fornire una spinta considerevole.

Cosa fare però se non siamo vicini a una data celebrativa importante a cui collegarci? Nessuna paura, possiamo essere noi a decretare quello che prende il nome di segnaposto o punto di riferimento temporale.

Perché possiamo attivare il nostro personale fresh start effect infatti ci basta essere consapevoli che sta avvenando un cambio di passo, una rinascita significativa per noi. Motivo per cui a volte possiamo persino collegarci all’inizio della settimana che arriva o al giorno successivo a un evento, un viaggio, un periodo complicato.

Quel lunedì, quel giorno successivo infine assumeranno per noi la valenza di un capodanno personalissimo perché rappresenteranno il momento in cui stabiliremo l’esistenza di un prima e di un dopo.

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06/04/23 Blog

Sindrome di Cassandra: quando le nostre profezie ci fanno autosabotaggio

A tutti noi capita di immaginare il futuro e di tentare di prevedere come andrà. A volte però quelli che tendiamo a creare sono pronostici negativi che rischiano poi di ingabbiarci e sabotarci. Quando questo accade potremmo essere vittime della sindrome di Cassandra. A che cosa fa riferimento questa tendenza e soprattutto come ci danneggia?

Immaginare è un’attività tipica di noi esseri umani. Siamo portati per natura a fare pronostici e previsioni su quel che avverrà, sulla nostra vita. Cosa succede però se nel pensare al futuro ci lasciamo trasportare unicamente da una visione negativa e dal pessimismo?

In questo caso può allora capitare di sperimentare quella che è stata definita come la Sindrome di Cassandra. Una tendenza questa per cui le nostre previsioni sono sempre all’insegna del catastrofismo e ci convinciamo che per forza di cose andrà tutto male.

Quelle profezie negative che diventano una maledizione

Profetessa Cassandra

Il primo punto per spezzare un circolo vizioso è diventare consapevoli di quel che accade e di come noi ci approcciamo agli eventi. Solo in questo modo difatti abbiamo poi la possibilità di cambiare le dinamiche comportamentali e le strategie che siamo abituati a mettere in atto.

Ecco perché un passo fondamentale per la nostra crescita personale e per il nostro benessere è conoscere quello che avviene quando incappiamo nella Sindrome di Cassandra. L’etichetta stessa ci racconta molto di quella che è la nostra problematica quando tendiamo a formulare unicamente profezie negative.

La sindrome prende il nome dalla figura della profetessa Cassandra di cui può allora esserci utile ricordare il mito. La giovane difatti vide tramutare il dono della profezia in una vera e propria maledizione.

Cassandra rifiutò il dio Apollo che la punì facendo in modo che nessuno credesse più alle sue parole per quanto veritiere e utili. La donna quindi continuò a prevedere il futuro ma senza che nessuno ascoltasse i suoi moniti e consigli.

Come nel mito perciò se siamo alle prese con la sindrome di Cassandra, accade che noi per primi non crediamo nelle nostre capacità e possibilità. Nella pratica diventiamo i nostri primi e più grandi detrattori.

Rischiamo inoltre di tessere a ritmo continuo profezie negative sulla nostra vita. Profezie che poi si auto-avvereranno – anche a causa di queste nostre convinzioni negative – e alimenteranno il circolo vizioso di:

  • pessimismo,
  • scarsa fiducia;
  • bassa autostima;
  • negatività.

Come ci danneggia la sindrome di cassandra?

Il primo a parlare della Sindrome di Cassandra fu Gaston Bachelard nel 1949. Con questa espressione dunque il filosofo volle fare riferimento a uno stato preciso in cui noi tendiamo ad auto-sabotarci e sminuirci.

Lo facciamo creando previsioni negative sul nostro futuro e sulle nostre possibilità partendo anche dalla convinzione di non essere in grado né meritevoli di fiducia. Partendo da questo presupposto diamo vita a un circolo vizioso in cui:

  1. Non credo in me stesso e mi sminuisco.
  2. Penso che “non ce la farò mai, non ne sono in grado, andrà tutto male”.
  3. Mi rapporto agli eventi sulla base di questa distorsione cognitiva.
  4. Le cose assumono davvero una piega negativa ai miei occhi perché non credo in ciò che faccio né nelle mie potenzialità.
  5. Mi convinco della validità della mia profezia negativa e prendo l’esperienza fallimentare come prova del mio scarso valore.

Questo processo ci porta allora a comprendere quanto frustrante e problematico possa essere vivere approcciando la realtà sulla base di questo filtro. Quando siamo vittime della sindrome di cassandra infatti:

  • sminuiamo noi stessi e il nostro valore/merito;
  • ci convinciamo del nostro futuro fallimento che ai nostri occhi è certo;
  • sabotiamo le nostre opportunità;
  • rinunciamo in partenza a proporci e a provare.

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